lunedì 17 febbraio 2014

MUSEO STIBBERT

Il Museo Stibbert si trova nel centro di Firenze, dove un tempo vi abitava il suo fondatore e proprietario: Frederick Stibbert. 
Di famiglia metà inglese e metà italiana, il signor Stibbert fu sempre molto legato alla sua dimora fiorentina, dove iniziò a raccogliere manufatti di ogni tipo e provenienza, fino a quando, con la sua morte, la lasciò alla città di Firenze con l'unica clausola che fosse adibita a museo e che, in caso non fosse mantenuta al meglio, che ogni oggetto, quadro o decorazione al suo interno fossero rimandati all'altra sua patria, l'Inghilterra.

Il museo presenta moltissimi oggetti europei, mediorientali, cinesi e giapponesi, come armature del Cinquecento, quadri di artisti famosi, ceramiche, porcellane e tappezzerie, oltre che tessuti di grandissimo valore e manifattura pregiata.
Una caratteristica di questo museo è che ogni stanza presenta una tematica specifica e quindi una funzione: ricordiamo per esempio la Quadreria, che è quella con cui si apre la visita, la stanza Mediorientale, quella della Cavalcata, la stanza di Ceramica e l'intera ala dedicata ai manufatti di origine Giapponese, che ne presenta oltre 1800, tra armature, katane e ventagli di ogni genere.

Nella stanza Mediorientale troviamo le decorazioni tipiche dell'Alhambra spagnola, probabilmente studiate e ricreate apposta su commissione di Stibbert stesso: al suo interno possiamo osservarvi vestiti e armi arabe, oltre che a delle splendide armature colorate.  Per gli arabi la luna era il simbolo dell'uomo, freddo e mortale, mentre il sole quello della donna (madre, vita e calore), ma nelle armature ritroviamo sia il giallo che l'argento, in quanto i guerrieri dovevano avere le caratteristiche sia dell'uomo che della donna per essere persone equilibrate. Inoltre sulle armi vi possiamo leggere (anche se sono in arabo) delle scritte: sull'elmo c'è scritto "Dio proteggimi", mentre sulla spada "Dio perdonami".

Nella stanza della Cavalcata vi troviamo una figura molto importante posta in alto: San Giorgio a cavallo con ai piedi il drago morto. San Giorgio era il protettore dei cavalieri, nessuna sorpresa quindi che si trovi proprio qui, dove molti guerrieri a cavallo armati di lance e protetti da spesse armature sembrano marciare verso un indefinito nemico.

La stanza di Ceramica, situata accanto a quella per il ballo, fu creata apposta per i fumatori, in quanto era facilmente pulibile dai residui di fumo, inoltre, tra le varie decorazioni, possiamo osservare dei piccoli motti, messi lì appositamente per facilitare la conversazione tra gli uomini che si trovavano al suo interno.


Altre stanze particolari sono quella con le bandiere delle contrade di Siena, che riproduce un padiglione da battaglia dei capitani; la stanza stile impero che presenta un arredamento e quadri in stile neo-classico; la camera da letto per la madre, con lo specchio "Psyche"; e ultima ma non ultima, la stanza dove vi è conservata la veste di Napoleone di quando nel 1805 andò a Milano, infatti è in verde. Questa veste, anche se non del tutto completa, è particolare nelle decorazioni, che presentano la tipiche "N" di Napoleone e un'ape (che in realtà è un giglio rovesciato), simbolo del suo potere di imperatore che ha rovesciato la monarchia.




Arianna De Stefano

domenica 16 febbraio 2014


Report del Museo Stibbert

Il Museo Stibbert si trova a Firenze sulla collina di Montughi ed è stata la residenza dell’omonimo Frederick Stibbert dal 1849 al 1906: nacque in Toscana nel 1838 ma passò l’infanzia in Inghilterra, discendeva da grandi combattenti inglesi e alla morte del padre la madre decise di tornare a Firenze e di abitare nell’attuale museo lasciando al giovane Frederick tutto il patrimonio sia del padre che degli zii perché unico erede maschio.
 Dedicò presto la sua attenzione alla collezione per la quale egli stesso creò grazie all’eredità che il nonno, Sir Giles Stibbert, per anni Generale dell’esercito della Compagnia delle indie e Governatore del Bengala aveva raccolto in estremo oriente e soprattutto oggetti di cultura indiana. Frederick approfittò della sua molteplice natura di finanziere internazionale, viaggiando e collezionando per quasi cinquanta anni, fino a che la morte lo cogliesse a quasi settanta anni. Il museo si snoda attraverso le passioni di Stibbert e le stanze sono state attribuite a periodi e generi ben precisi: nella Sala della Cavalcata sono raccolte diversi modelli di armature, pugnali, lance, punte, spade, speroni ed ogni strumento e armatura sono state studiate per qualsiasi situazione e movimento; in gran parte sono collocabili al cinquecento e  provengono da scuole italiane, tedesche, francesi e rispondono alle esigenze della guerra o dei vari tipi di gioco guerresco. Tra una moltitudine di messaggi ( come ad esempio la collata che tiene il cavaliere in mezzo alla sala) e le varie incisioni che particolarizzano tutti gli oggetti, non sarà da meno ricordare che sopra alla porta del salone vi è posta una grande statua equestre che rappresenta la figura di San Giorgio mentre combatte con il drago e va a simboleggiare e ad onorare il patrono dei cavalieri.

Due sale sono state adibite all’armeria Islamica dove si trovano armi e armature provenienti dal Vicino e dal Medio Oriente mussulmano. Parlando di oriente bisogna ricordare l’importanza e il simbolismo dei colori che li differenzia in base al sesso e al ruolo: la donna prende i colori del sole mentre l’uomo quelli della luna e il guerriero essendo una persona equilibrata li indossa entrambi. Al centro sono collocati una serie di guerrieri islamici alcuni in sella ai loro destrieri mentre altri sono in piedi e sono a grandezza umana. Uno delle tante cose che può affascinare lo spettatore è l’incredibile capacità con cui sono state ambientate le diverse sale. Le pareti della sala Moresca o Islamica sono state ornate a stucchi bianchi richiamanti l’architettura musulmana dell’ Alhambra, analizzandoli possiamo vedere che al loro interno sono presenti delle scritte, mentre sugli elmi persiani e arabi possiamo ritrovare scritto “ Dio proteggimi” e sulle loro spade “ Dio perdonami”.

Sono rimasta stupefatta dall’eros del ‘500 che portava con se il guerriero: furono realizzate dei ricarica fucili con sopra incise delle scene erotiche di diverse dimensioni e fantasie.

Oltre alla vasta collezione di armi all’interno del museo si possono trovare abiti, tappezzerie, ceramiche e porcellane provenienti dalla Germania, Cina, Giappone e dall’Italia. In una stanza sono state collocate le bandiere di Siena come padiglione di guerra ma non troviamo più le originali ma ben si delle copie perché furono realizzata in seta e dopo tanti secoli si sono decomposte.

Inoltre viene conservato il petit habit di Napoleone I, che l’Imperatore ha indossato in occasione della sua incoronazione a Re d’Italia e diversi cimeli ed abiti di epoca napoleonica.

Nel 1887 con l’inaugurazione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore lo Stibbert comprò i tessuti della chiesa perché “sciupati” e ci allestì una sala all’interno del museo: purtroppo molti tessuti dopo la rivoluzione furono bruciati dai cittadini perché erano filati con l’oro e alcuni di essi non sono presenti nella collezione.

Il museo presenta una notevole quantità di dipinti falsi ma anche originali di artisti noti e il principale motivo è quello di ricordare allo spettatore quale fosse l’abito, l’armatura e il pensiero del periodo a cui è stato assegnato alla sala.

Al piano terra è presente una bellissima sala da ballo affiancata alla stanza da fumo che da sul giardino: è stata realizzata in porcellana in modo che il fumo non si impregni nelle mura. Il museo nei piani superiori presenta inoltre una collezione di armature e oggetti provenienti dal Giappone come anche armi e rotoli dipinti chiamati “ emakimono”.

La villa è stata visitata anche da nomi prestigiosi come Oscar Wilde, Gabriele D’ Annunzio e dalla Regina Vittoria nel marzo del 1894.

Per salvaguardarne poi l'integrità, Frederick decise che alla sua morte avvenuta nel 1906, esso venisse costituito in museo pubblico affidato alla città di Firenze: egli lasciò tutto il suo patrimonio museale in prima istanza alla Nazione Britannica, e in caso di rinuncia alla Città di Firenze che subentrò infatti al primo legatario. Gli obblighi, puntualmente assolti, erano di mantenere le collezioni nel luogo e negli ambienti per loro pensati e di aprire il Museo al pubblico per la conoscenza degli studiosi e l'educazione dei giovani.

Laura Lombardi

mercoledì 12 febbraio 2014

Relazione Museo Stibbert - Fenzi Vittoria

Il Museo viene donato alla città di Firenze dal collezionista d’arte ed imprenditore italo-inglese Frederick Stibbert (1838-1906).
All’interno del museo si contano circa 4000 oggetti, tra abiti, armature, dipinti, porcellane, tappezzerie e molto altro, legati da un elemento comune quale la storia del corpo e dell’abito, questo aspetto rispetta l’esposizione tematica delle collezioni tipica della cultura Ottocentesca.
Gli oggetti, appartenendo a differenti epoche e culture, sono organizzati opportunamente in diverse sale. Tra queste ricordiamo la sala araba, la sala delle armature, la sala dei tessuti, le sale giapponesi e persino una sala che ricorda un accampamento militare con le bandiere delle contrade di Siena appese al soffitto.
Nella sala araba mi ha colpito molto il significato dei rombi di due colori disegnati sulle armature dei guerrieri: luna e sole. In Medio-Oriente, infatti, l’etica dei guerrieri prevedeva che essi rappresentassero entrambi gli elementi, a differenza della cultura europea in cui la donna rappresentava la luna e l’uomo il sole.
Un’altra sala della casa-museo che mi ha incuriosito è stata la stanza da fumo, con le pareti rivestite completamente in ceramica affinché non venissero impregnate dal fumo dei gentiluomini. Sulle mattonelle si notano delle scritte: sono motti virili che davano la possibilità di intavolare un discorso tra gli uomini che condividevano la stanza, pur non conoscendosi. L’opera in ceramica è datata 1899 e firmata Cantagallo.
Spostandomi nella sala dedicata al Giappone ho trovato molto interessante un particolare materiale con cui è rivestito uno dei numerosi foderi per katane: la pelle di pesce. Molto curioso è il fatto che la pelle di pesce venne usata in tempo di guerra, e quindi in mancanza di materiali adeguati, da Salvatore Ferragamo per rivestire un paio delle sue famosissime scarpe, anche se, pare, lo stilista non abbia mai visitato il museo e quindi non possa aver tratto spunto dall'oggetto giapponese.
Questa visita è stata molto interessante e costruttiva poichè le collezioni del Museo Stibbert  ripercorrono la storia del costume uscendo anche dai confini europei, questo grazie al personaggio di F. Stibbert che ha saputo cogliere l’importanza di comprare e collezionare oggetti di culture straniere anche quando esse non erano ancora di moda.






Armatura araba 




















Scarpa in pelle di pesce, Salvatore Ferragamo






Vittoria Fenzi

lunedì 10 febbraio 2014

STORIA DELLA MODA DEL XX SECOLO - GERTRUD LEHNERT

In questo brano viene affrontata la storia della moda dal 1900 al 1918 . 
Innanzitutto la Lehnert fa una distinzione fondamentale tra costume, segno di tradizione, staticità e permanenza nel tempo, e abito, segno, invece, di individualità e cambiamento continuo.
Possiamo parlare di moda a partire dal XIX secolo, quando passa in primo piano ciò che è bello, nuovo e ornamentale a dispetto di tutto ciò che è solo strettamente funzionale, e aumenta la libertà di scelta del proprio abbigliamento. Per arrivare ad oggi, dove l’unico limite di scelta del nostro vestiario è la possibilità finanziaria ed in poche occasioni dobbiamo sottostare a canoni di abbigliamento precisi.
La moda è significato di transitorietà e mutamento continuo, nonostante questo però i capi d’abbigliamento non sono solo prodotti di consumo bensì interpretazioni del nostro mondo, proprio come l’arte. Una forma d’arte che ritroviamo nel campo della moda è sicuramente l’haute couture (alta sartoria): la moda delle sfilate, degli spettacoli e della fotografia.
L’haute couture, che nasce nel XIX secolo, inizialmente rappresentava la moda stessa, mentre adesso è solo un mezzo pubblicitario per lo stilista ed il suo brand. Affinché un capo possa essere definito di haute couture, lo stilista deve impiegare un minimo di 20 sarti e portare a Parigi due collezioni all’anno di almeno 75 modelli lavorati a mano e su misura.
Dagli anni ’60 si diffonde il prêt-à-porter (in America ready-to-wear, già diffuso dagli anni ’40), ovvero l’abbigliamento moderno, disegnato dallo stilista ma prodotto industrialmente e distribuito su vasta scala, per cui più accessibile. Ma esiste anche un altro tipo di moda, quella confezionata, ovvero quella degli abiti prodotti in serie, di minor qualità e costo. In questo caso non ha più importanza la creazione, i capi devono essere facilmente portabili e vendibili ma devono comunque seguire le tendenze della moda, dalle quali non si può fuggire.

Il XX secolo è il secolo delle grandi rivoluzioni: in campo storico e sociale (Prima Guerra Mondiale; Rivoluzione Russa; Emancipazione della donna...), nel campo delle invenzioni (Prima auto prodotta in serie...), dell’arte (Cubismo; Futurismo...) e della moda, nella quale c’è stato l’allontanamento da tutti gli stili precedenti .
Infatti in questo secolo le donne aprono l’armadio dell’uomo e cominciano ad indossare i pantaloni, prima un tabù per loro, giacche con spalle larghe, pullover a collo alto e scarpe basse. Ed i cambiamenti non sono solo nell’abbigliamento poiché, al ritorno dalla guerra, gli uomini, a causa della loro prolungata assenza, trovano una “donna lavoratrice” con la tuta da operaio o alla guida dei mezzi pubblici…
Questa differenza tra i sessi è un elemento fondamentale del fenomeno moda, poiché in base alle sue diverse tendenze vengono determinati i criteri per cui qualcosa è giudicato maschile o femminile. 

Qualunque donna nel secolo XVIII sa maneggiare ago e filo per essere in grado di rammendare i vestiti della famiglia in caso di necessità, perciò si cominciano a preconfezionare alcuni capi d’abbigliamento che non dovevano necessariamente corrispondere alle misure della donna che doveva indossarli. Le donne borghesi, quindi, una volta comprati i capi semi-confezionati, possono finire di cucirli e decorarli a piacimento. Ecco come nasce il prêt-à-porter. 

A metà del XIX secolo, lo stilista inglese Charles Frederick Worth crea l’haute couture, non confezionando più vestiti ma sviluppando singole collezioni per le sue clienti dell’alta società che devono scegliere soltanto il tessuto tra una serie di opzioni adatte per qualità e disegno al modello prescelto. 
Fino al XVIII secolo gli uomini si vestono, allo stesso modo delle donne, con abiti ricchi, colorati e sfarzosi, ma dopo la Rivoluzione francese e sotto l’influenza della gentry inglese l'abbigliamento maschile diventa più semplice e sobrio in tutta Europa. La moda è dunque diventata un “dovere” delle dame, infatti i mariti lasciano alle mogli l’ostentazione della ricchezza e dell’ozio poiché strettamente collegati con il loro successo. 

Fin dalla fine dell’Ottocento era in voga l’ideale di bellezza della donna con il “vitino di vespa” ma la casa parigina di Worth apporta una modifica con l’introduzione della linea a “S” che comunque solo il corsetto continua a garantire. Vengono introdotti nuovi e molteplici tipi di corsetto che dividono in due la donna legando pancia e fianchi talmente stretti da farli sparire: la “cintura di Parigi” rinforzata con corno, l’ “empire” con forma sinuosa e rinforzata con fili d’acciaio più elastici e leggeri, il “corsetto ortopedico” che non doveva aderire troppo al corpo ed era sorretto da spalline. 

Contro l’abitudine del corsetto si sollevano molte proteste e movimenti riformistici, tra i quali quelli di medici, pedagoghi, artisti e sociologi che la criticano perché nociva alla salute e innaturale.
L’architetto e artista Henry Van De Velde si oppone alla moda 'amorale' prediligendo una moda meno soggetta a cambiamenti e che unisse bellezza e utilità, inoltre sostiene che i sarti non usino il corsetto per valorizzare il fisico della donna bensì per valorizzare le loro creazioni, non intendeva perciò abolire il capo ma conferirgli un nuovo significato. 
Ad un’architettura riformata devono abbinarsi abiti riformati, che si sviluppano ma non riscuotono successo perché troppo austeri: coprono interamente il corpo ed sono solitamente di colore nero, ma hanno comunque posto il problema del collegamento tra estetica e comodità (anche questo sempre riguardo alla moda femminile poiché quella maschile era stata da sempre abbastanza comoda). L’unico che tenta di riformare la moda maschile fu il pittore austriaco Gustav Klimt, esponente dell’Art nouveau, che indossava camiciotti ampi disegnati da lui stesso, che si allontanavano molto dallo stile maschile dell’epoca. 

Paul Poiret è un altro stilista riformista che crea una linea di abbigliamento opposta a quelle dell’epoca e contribuisce alla definitiva abolizione del corsetto realizzando nel 1906 il primo abito senza corsetto con linea sciolta e naturale. Secondo lui la bellezza naturale della donna doveva essere aiutata solo da un reggipetto e una fascia contenitiva.
I suoi abiti lasciano libertà di movimento a chi li indossa, tra questi il taglio stile impero del XIX secolo senza il segno della vita, stretti solo sotto il seno e poi dritti verso il basso, e poi tuniche, pantaloni harem, tagli da kimono per cappotti e giacche e turbanti per ornare le teste, rivoluzionari rispetto ai copricapi ampi e decorati che erano in voga fino all’inizio della prima guerra mondiale. 
Poiret è infatti molto influenzato dallo stile orientale unito alla moda storica e folcloristica, che lo porta all’uso di tessuti quali il velluto, la seta, la mussola, stoffe velate e garze sottili di colori molto accesi, in contrasto con i colori dell’epoca che erano unicamente malva, blu e grigio. 

Ci sono molti altri artisti influenzati dallo stile orientale, come la compagnia dei Balletti Russi che porta in scena coreografie romantiche e orientaleggianti, dando spunto a molto artisti.
Questa influenza trova le sue radici nell’esotismo del XIX secolo che si protraeva lentamente si dal XVII secolo con artisti come il pittore Paul Gaugin . 

Mariano Fortuny, spagnolo residente a Venezia, è uno degli orientalisti più famosi dell’epoca. Ispirandosi alle forme dell’antica Grecia introduce delle tuniche dette “delphos”, fortemente innovative per la semplicità delle forme abbinate a tessuti e decorazioni ricercate come sete plissettate e colori brillanti, ma realizza anche pesanti abiti in velluto ispirati ai ritratti rinascimentali italiani .

Gli abiti di Poiret e Fortuny sono però ben lontani da quelli indossati dalla maggior parte delle donne, in generale la moda dal 1907 in poi era più lineare, sobria e severa. Le gonne erano più strette e corte e lasciavano intravedere i piedi, gli abiti a due pezzi e accollati, i cappelli continuarono ad essere grandi e decoratissimi, si cominciarono ad indossare le tuniche e i tailleur con la giacca lunga fino al ginocchio.

Il XX secolo è anche il secolo di movimenti come il Futurismo che ha come ideali la tecnica, la velocità e la guerra. Secondo i futuristi la vita deve essere un tutt’uno con l’arte e deve adattarsi alla velocità dei tempi nuovi abbandonando le tradizioni borghesi. 

Nel suo Manifesto del 1914, Giacomo Balla, uno degli esponenti del movimento, esige di sostituire tutto ciò che è cupo e goffo dell’abbigliamento maschile con capi dinamici, asimmetrici, colorati e variabili. Dopo lo scoppio della guerra modifica il Manifesto affermando che l’abbigliamento non deve più dare alle persone voglia di vivere e dinamismo ma renderle aggressive e bellicose. 

Durante la guerra la moda del prêt-à-porter, ma non quella dell’haute couture, subisce importanti modifiche, nonostante l’arruolamento volontario e non degli stilisti e la scarsità dei materiali. L’abbigliamento maschile non varia molto perché gli uomini indossano perlopiù sempre divise, mentre quello delle donne diviene più severo e funzionale. La silhouette più affusolata, le gonne leggermente più corte, sulle giacche e sui cappotti si trovano elementi militari, i cappelli diventano più piccoli e meno decorati, le pettinature più semplici. Si diffonde la crinolina da guerra, una sottana ampia e lunga fino ai polpacci con diverse sottogonne, linea che verrà ripresa negli anni ’40. 
Con la fine della guerra gli abiti tornano dritti, con larghe tasche a sacca che torneranno di moda negli anno ’80. 
Negli anni ’20 la crinolina da guerra continua ad esistere ma come abito elegante, grazie al quale diventa famosa la stilista Jeanne Lanvin. 

In conclusione possiamo affermare che anche solo in un decennio, come quello del primo Novecento, l’abbigliamento, soprattutto femminile, subisce numerosi cambiamenti. Parallelamente al cambio di abbigliamento vediamo l'emancipazione femminile e il progressivo aumento della fiducia delle donne in se stesse...ma anche degli stilisti nelle donne! 


Vittoria Fenzi

sabato 25 gennaio 2014

L’essenza della moda è sì cambiamento, ma soprattutto fugacità del cambiamento stesso...



( link su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=7JxfgId3XTs )

Chiara Cesaraccio