In questo brano viene affrontata la storia della moda dal 1900 al 1918 .
Innanzitutto la Lehnert fa una distinzione fondamentale tra costume, segno di tradizione, staticità e permanenza nel tempo, e abito, segno, invece, di individualità e cambiamento continuo.
Possiamo parlare di moda a partire dal XIX secolo, quando passa in primo piano ciò che è bello, nuovo e ornamentale a dispetto di tutto ciò che è solo strettamente funzionale, e aumenta la libertà di scelta del proprio abbigliamento. Per arrivare ad oggi, dove l’unico limite di scelta del nostro vestiario è la possibilità finanziaria ed in poche occasioni dobbiamo sottostare a canoni di abbigliamento precisi.
La moda è significato di transitorietà e mutamento continuo, nonostante questo però i capi d’abbigliamento non sono solo prodotti di consumo bensì interpretazioni del nostro mondo, proprio come l’arte. Una forma d’arte che ritroviamo nel campo della moda è sicuramente l’haute couture (alta sartoria): la moda delle sfilate, degli spettacoli e della fotografia.
L’haute couture, che nasce nel XIX secolo, inizialmente rappresentava la moda stessa, mentre adesso è solo un mezzo pubblicitario per lo stilista ed il suo brand. Affinché un capo possa essere definito di haute couture, lo stilista deve impiegare un minimo di 20 sarti e portare a Parigi due collezioni all’anno di almeno 75 modelli lavorati a mano e su misura.
Dagli anni ’60 si diffonde il prêt-à-porter (in America ready-to-wear, già diffuso dagli anni ’40), ovvero l’abbigliamento moderno, disegnato dallo stilista ma prodotto industrialmente e distribuito su vasta scala, per cui più accessibile. Ma esiste anche un altro tipo di moda, quella confezionata, ovvero quella degli abiti prodotti in serie, di minor qualità e costo. In questo caso non ha più importanza la creazione, i capi devono essere facilmente portabili e vendibili ma devono comunque seguire le tendenze della moda, dalle quali non si può fuggire.
Il XX secolo è il secolo delle grandi rivoluzioni: in campo storico e sociale (Prima Guerra Mondiale; Rivoluzione Russa; Emancipazione della donna...), nel campo delle invenzioni (Prima auto prodotta in serie...), dell’arte (Cubismo; Futurismo...) e della moda, nella quale c’è stato l’allontanamento da tutti gli stili precedenti .
Infatti in questo secolo le donne aprono l’armadio dell’uomo e cominciano ad indossare i pantaloni, prima un tabù per loro, giacche con spalle larghe, pullover a collo alto e scarpe basse. Ed i cambiamenti non sono solo nell’abbigliamento poiché, al ritorno dalla guerra, gli uomini, a causa della loro prolungata assenza, trovano una “donna lavoratrice” con la tuta da operaio o alla guida dei mezzi pubblici…
Questa differenza tra i sessi è un elemento fondamentale del fenomeno moda, poiché in base alle sue diverse tendenze vengono determinati i criteri per cui qualcosa è giudicato maschile o femminile.
Qualunque donna nel secolo XVIII sa maneggiare ago e filo per essere in grado di rammendare i vestiti della famiglia in caso di necessità, perciò si cominciano a preconfezionare alcuni capi d’abbigliamento che non dovevano necessariamente corrispondere alle misure della donna che doveva indossarli. Le donne borghesi, quindi, una volta comprati i capi semi-confezionati, possono finire di cucirli e decorarli a piacimento. Ecco come nasce il prêt-à-porter.
A metà del XIX secolo, lo stilista inglese Charles Frederick Worth crea l’haute couture, non confezionando più vestiti ma sviluppando singole collezioni per le sue clienti dell’alta società che devono scegliere soltanto il tessuto tra una serie di opzioni adatte per qualità e disegno al modello prescelto.
Fino al XVIII secolo gli uomini si vestono, allo stesso modo delle donne, con abiti ricchi, colorati e sfarzosi, ma dopo la Rivoluzione francese e sotto l’influenza della gentry inglese l'abbigliamento maschile diventa più semplice e sobrio in tutta Europa. La moda è dunque diventata un “dovere” delle dame, infatti i mariti lasciano alle mogli l’ostentazione della ricchezza e dell’ozio poiché strettamente collegati con il loro successo.
Fin dalla fine dell’Ottocento era in voga l’ideale di bellezza della donna con il “vitino di vespa” ma la casa parigina di Worth apporta una modifica con l’introduzione della linea a “S” che comunque solo il corsetto continua a garantire. Vengono introdotti nuovi e molteplici tipi di corsetto che dividono in due la donna legando pancia e fianchi talmente stretti da farli sparire: la “cintura di Parigi” rinforzata con corno, l’ “empire” con forma sinuosa e rinforzata con fili d’acciaio più elastici e leggeri, il “corsetto ortopedico” che non doveva aderire troppo al corpo ed era sorretto da spalline.
Contro l’abitudine del corsetto si sollevano molte proteste e movimenti riformistici, tra i quali quelli di medici, pedagoghi, artisti e sociologi che la criticano perché nociva alla salute e innaturale.
L’architetto e artista Henry Van De Velde si oppone alla moda 'amorale' prediligendo una moda meno soggetta a cambiamenti e che unisse bellezza e utilità, inoltre sostiene che i sarti non usino il corsetto per valorizzare il fisico della donna bensì per valorizzare le loro creazioni, non intendeva perciò abolire il capo ma conferirgli un nuovo significato.
Ad un’architettura riformata devono abbinarsi abiti riformati, che si sviluppano ma non riscuotono successo perché troppo austeri: coprono interamente il corpo ed sono solitamente di colore nero, ma hanno comunque posto il problema del collegamento tra estetica e comodità (anche questo sempre riguardo alla moda femminile poiché quella maschile era stata da sempre abbastanza comoda). L’unico che tenta di riformare la moda maschile fu il pittore austriaco Gustav Klimt, esponente dell’Art nouveau, che indossava camiciotti ampi disegnati da lui stesso, che si allontanavano molto dallo stile maschile dell’epoca.
Paul Poiret è un altro stilista riformista che crea una linea di abbigliamento opposta a quelle dell’epoca e contribuisce alla definitiva abolizione del corsetto realizzando nel 1906 il primo abito senza corsetto con linea sciolta e naturale. Secondo lui la bellezza naturale della donna doveva essere aiutata solo da un reggipetto e una fascia contenitiva.
I suoi abiti lasciano libertà di movimento a chi li indossa, tra questi il taglio stile impero del XIX secolo senza il segno della vita, stretti solo sotto il seno e poi dritti verso il basso, e poi tuniche, pantaloni harem, tagli da kimono per cappotti e giacche e turbanti per ornare le teste, rivoluzionari rispetto ai copricapi ampi e decorati che erano in voga fino all’inizio della prima guerra mondiale.
Poiret è infatti molto influenzato dallo stile orientale unito alla moda storica e folcloristica, che lo porta all’uso di tessuti quali il velluto, la seta, la mussola, stoffe velate e garze sottili di colori molto accesi, in contrasto con i colori dell’epoca che erano unicamente malva, blu e grigio.
Ci sono molti altri artisti influenzati dallo stile orientale, come la compagnia dei Balletti Russi che porta in scena coreografie romantiche e orientaleggianti, dando spunto a molto artisti.
Questa influenza trova le sue radici nell’esotismo del XIX secolo che si protraeva lentamente si dal XVII secolo con artisti come il pittore Paul Gaugin .
Mariano Fortuny, spagnolo residente a Venezia, è uno degli orientalisti più famosi dell’epoca. Ispirandosi alle forme dell’antica Grecia introduce delle tuniche dette “delphos”, fortemente innovative per la semplicità delle forme abbinate a tessuti e decorazioni ricercate come sete plissettate e colori brillanti, ma realizza anche pesanti abiti in velluto ispirati ai ritratti rinascimentali italiani .
Gli abiti di Poiret e Fortuny sono però ben lontani da quelli indossati dalla maggior parte delle donne, in generale la moda dal 1907 in poi era più lineare, sobria e severa. Le gonne erano più strette e corte e lasciavano intravedere i piedi, gli abiti a due pezzi e accollati, i cappelli continuarono ad essere grandi e decoratissimi, si cominciarono ad indossare le tuniche e i tailleur con la giacca lunga fino al ginocchio.
Il XX secolo è anche il secolo di movimenti come il Futurismo che ha come ideali la tecnica, la velocità e la guerra. Secondo i futuristi la vita deve essere un tutt’uno con l’arte e deve adattarsi alla velocità dei tempi nuovi abbandonando le tradizioni borghesi.
Nel suo Manifesto del 1914, Giacomo Balla, uno degli esponenti del movimento, esige di sostituire tutto ciò che è cupo e goffo dell’abbigliamento maschile con capi dinamici, asimmetrici, colorati e variabili. Dopo lo scoppio della guerra modifica il Manifesto affermando che l’abbigliamento non deve più dare alle persone voglia di vivere e dinamismo ma renderle aggressive e bellicose.
Durante la guerra la moda del prêt-à-porter, ma non quella dell’haute couture, subisce importanti modifiche, nonostante l’arruolamento volontario e non degli stilisti e la scarsità dei materiali. L’abbigliamento maschile non varia molto perché gli uomini indossano perlopiù sempre divise, mentre quello delle donne diviene più severo e funzionale. La silhouette più affusolata, le gonne leggermente più corte, sulle giacche e sui cappotti si trovano elementi militari, i cappelli diventano più piccoli e meno decorati, le pettinature più semplici. Si diffonde la crinolina da guerra, una sottana ampia e lunga fino ai polpacci con diverse sottogonne, linea che verrà ripresa negli anni ’40.
Con la fine della guerra gli abiti tornano dritti, con larghe tasche a sacca che torneranno di moda negli anno ’80.
Negli anni ’20 la crinolina da guerra continua ad esistere ma come abito elegante, grazie al quale diventa famosa la stilista Jeanne Lanvin.
In conclusione possiamo affermare che anche solo in un decennio, come quello del primo Novecento, l’abbigliamento, soprattutto femminile, subisce numerosi cambiamenti. Parallelamente al cambio di abbigliamento vediamo l'emancipazione femminile e il progressivo aumento della fiducia delle donne in se stesse...ma anche degli stilisti nelle donne!
Vittoria Fenzi